The Road

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Pintu85
view post Posted on 6/5/2010, 17:36




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“La strada”, di Cormac McCarthy, è un romanzo che non si dimentica: per la potenza emotiva ed evocativa, per la cupezza disperata che colpisce tanto allo stomaco quanto al cuore, per la profondità dei ragionamenti messi sottilmente in gioco su temi come umanità, fede, redenzione. E per una scrittura secchissima, essenziale eppure capace di comunicare dettagli e sentimenti in maniera ricchissima. Di fronte ad un testo di questo genere, la scommessa di tradurre in immagine cinematografica racconto e stile del libro era di quelle rischiose e assai ambiziose. E non bastava scegliere a priori la strada della fedeltà al testo – e non della sua modifica o implementazione – per pararsi le spalle a sufficienza.

Pur riconoscendo l’onestà della sceneggiatura di Joe Penhall, è quindi nella regia dell’australiano John Hillcoat che The Road riesce e convince sia chi conosce il materiale originale chi semplicemente affronta il film senza alcuna conoscenza pregressa. La disperata odissea dell’Uomo e di suo figlio attraverso il panorama grigio e devastato di un’America post-apocalisse viene tradotta in immagini mantenendo intatta la sua carica cupa e disperata, il suo andamento rapsodicamente frammentato eppure fluidissimo e continuo al tempo stesso. I protagonisti Viggo Mortensen e il giovane Kodi Smit-McPhee, regalano la disperata intensità necessaria ai loro personaggi, e si muovono attraverso un mondo devastato e devastante reso ottimamente nella sua depressione cromatica dall’azzeccata fotografia di Javier Aguirresarobe.

Con questi elementi a sua disposizione, Hillcoat gira come fosse un osservatore neutrale, riprendendo gli accadimenti cercando di suggerire il meno possibile, mostrando e partecipando con discrezione solo quando realmente necessario, lasciando che sia l’emozione che deriva dal testo a fare il grosso del lavoro: un passo indietro solo apparente, in realtà un operazione che richiede grande consapevolezza registica. Gli unici interventi “sensibili” che l’australiano si è ed ha concesso sono quelli relativi ai flashback che vedono protagonista Mortensen assieme a Charlize Theron (anch’essi spietati nel dolore che raccontano e provocano) e l’utilizzo delle musiche firmate da Nick Cave: interventi sempre molto misurati, che non spezzano mai la cruda essenzialità del contesto.

Il resto, è farina del sacco di McCarthy: un racconto disperato d’amore paterno e filiale, di dolore, una riflessione sulla natura umana, sulla sopravvivenza e sui suoi modi e i suoi significati, sul senso della speranza e della redenzione. Da questo punto di vista, Hillcoat si fa semplicemente traduttore: e come tutti i migliori traduttori, si fa pressoché invisibile per non alterare la forza dell’originale.
 
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